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D-stringz


Lo ammetto: quando ho visto che Bireli Lagrene e Jean-Luc Ponti erano due dei tre musicisti di questo trio, ho pensato: "noooo, un altro disco manouche."

Non c'è niente che non vada nel manouche (disse lui dopo aver intitolato la sua scuola a Django Reinhardt...), se non il fatto che, tolta la produzione del suo inventore, c'è troppo poco di quello che mi aspetto dal jazz. Zero innovazione, dritti sui binari che permisero a Django di creare un suono unico, una ricetta inconfondibile. Accattivante, romantico, buono per tutte le stagioni il manouche post Django non ha aggiunto una solo virgola all'opera del suo creatore. Questo IMO come si dice nei forum.

Però il terzo uomo qui è Stanley Clarke, un musicista che non riesco a vedere impegnato in agiografie sonore.

Infatti qui il manouche è una solo scusa, uno sfondo, come quarto musicista che doveva esserci ma non si è presentato: parliamo di lui proprio perchè non c'è.

I tratti che restano del genere zingaro ci sono comunque: solo corde, la dimensione acustica, il virtuosismo dei musicisti, la presenza di un inno manouche (Nuages)

Ho deciso di segnalare questo disco, che sto ascoltando initerrottamente da una decina di giorni perchè l'alchimia del trio è di quelle che conquistano.

Lagrene è stratosferico con la chitarra classica, il primo jazzista che riesce a strapparmi una dichiarazione così, Ponti è uno di quei musicisti che sembra aver scritto e studiato profondamente ogni nota che suona anche quando improvvisa o suona cose di altri e Clarke è per classe, inventiva, suono e ora anche saggezza insuperabile.

Must have!

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